Tag: Yom Kippùr

Yom Kippur

Yom Kippur

Il Giorno dell’Espiazione


 di Rav Riccardo Di Segni
Rabbino capo di Roma

Nel calendario liturgico ebraico il giorno dell’Espiazione – Kippùr o Yom Kippùr o Yom ha Kippurìm – è il più importante dell’anno; in aramaico è yomà, “il giorno” per eccellenza, che dà il titolo al trattato della Mishnà che ne espone le regole. “Il giorno” cade il 10 di Tishri, primo mese autunnale.

Di questo giorno parla in più occasioni la Bibbia e la fonte principale è il capitolo 16 del Levitico. Qui si descrive un complesso ordine cerimoniale affidato al Gran Sacerdote, che deve scegliere estraendo a sorte tra due capretti; uno, dedicato al Signore, viene offerto in sacrificio; l’altro riceve con un gesto simbolico il carico delle colpe di tutta la collettività e viene quindi inviato a morire nel deserto. Di qui l’espressione e il concetto di “capro espiatorio”. Lo stesso brano biblico si conclude spiegando che in quel giorno è d’obbligo affliggere la propria persona e non lavorare, perché “in questo giorno espierà per voi purificandovi da tutte le vostre colpe, vi purificherete davanti al Signore” (versetto 30).

Dai tempi della sua istituzione biblica Kippùr è il giorno dell’anno in cui le colpe vengono cancellate e il destino futuro di ogni uomo viene stabilito, dopo il giudizio cui è stato sottoposto nei giorni precedenti del Capodanno. La tradizione rabbinica si è dilungata a spiegare quali colpe possano essere cancellate del tutto o in parte, o sospese, in base alla loro gravità. La forza espiatrice del Kippùr si misura con l’obbligo principale dell’uomo nei giorni che lo precedono: la tesciuvà. Letteralmente è il “ritorno” ed è il termine con il quale si indica il pentimento, nel senso di ritorno alla retta via. Questo ritorno comporta la consapevolezza di avere sbagliato, l’intenzione di non commettere nuovamente l’errore, la confessione pubblica e collettiva. Tutto questo si basa necessariamente sulla fede in un Dio misericordioso e clemente che viene incontro a chi ha sbagliato. In ogni caso la cancellazione delle colpe si riferisce a quelle commesse nei rapporti dell’uomo con il Signore; le colpe tra uomini vengono cancellate solo dagli uomini. Per questi motivi la vigilia del Kippùr è dovere per ognuno andare a chiedere scusa alle persone che sono state da lui offese.

Per tutto il periodo di esistenza del Tempio di Gerusalemme le cerimonie del giorno di Kippùr rappresentavano il complesso liturgico più complesso e solenne. Solo in quel giorno era consentito al Gran Sacerdote accedere al Santo dei Santi. Il rispetto dei dettagli prescritti era essenziale, richiedeva una preparazione prolungata e minuziosa, e un’esecuzione attenta su cui vigilava con ansia l’intera collettività raccolta nel Tempio. Di tutto questo dopo la distruzione del Tempio è rimasto solo il ricordo nostalgico, che nella liturgia del Kippùr avviene con la lettura, al mattino, del brano del Levitico e nel primo pomeriggio con una lunga evocazione poetica del cerimoniale.

La liturgia sinagogale tocca in questo giorno il vertice dell’impegno; lunghe e solenni preghiere la sera d’inizio, e una seduta praticamente ininterrotta dal mattino successivo fino al comparire delle stelle. Sono momenti speciali quelli della lettura di brani di suppliche, la lettura al mattino di Isaia 57, che descrive come vero digiuno la pratica della giustizia, e al pomeriggio il libro di Giona, che è una grandiosa rappresentazione della misericordia divina. La presenza del pubblico nelle sinagoghe raggiunge il massimo annuale in questo giorno, specialmente nei momenti più solenni di apertura e chiusura.

Essenziale nel Kippùr è il coinvolgimento personale, soprattutto con un digiuno totale senza bere né mangiare per circa 25 ore – dal quale sono esenti i malati – insieme ad altre forme di astensione (lavarsi, usare creme profumate, indossare scarpe di cuoio, evitare i rapporti sessuali). Poi c’è la dimensione familiare e sociale, nei pasti che precedono e seguono il digiuno e nelle riunioni delle famiglie in Sinagoga per ricevere la benedizione sacerdotale, impartita dai Cohanim, i discendenti di Aharon.

Malgrado l’austerità, la solennità e le forme imposte di afflizione fisica il Kippùr è vissuto collettivamente con serenità e gioia nella consapevolezza che comunque non verrà meno la misericordia divina.

A conclusione di queste brevi note esplicative, considerando la sede autorevole e certamente non abituale dove vengono pubblicate [“L’Osservatore Romano”], può essere interessante proporre una riflessione sul senso che il Kippùr ha avuto, e può avere oggi, nel confronto ebraico-cristiano. Questo perché nella formazione del calendario liturgico cristiano le origini ebraiche hanno avuto un ruolo decisivo, come modello da riprendere e trasformare con nuovi significati: il giorno di riposo settimanale passato dal sabato alla domenica, la Pasqua e la Pentecoste. In alcuni casi la Chiesa ha persino festeggiato il ricordo dell’osservanza di precetti biblici tipicamente ebraici (la festa della Purificazione del 2 febbraio; un tempo il 1 gennaio quella della Circoncisione).

Ma l’intero ciclo autunnale, di cui Kippùr è il giorno più importante, è come se fosse stato cancellato. Probabilmente ciò è dovuto al fatto che i simboli del Kippùr riguardano alcune differenze inconciliabili tra i due mondi. I temi del gran sacerdozio, del Tempio, del sacrificio, del capro espiatorio, della cancellazione delle colpe che nella tradizione ebraica si unificano nel Kippùr sono stati rielaborati dalla Chiesa, ma fuori dall’unità originaria. Semplificando le posizioni contrapposte: un cristiano, in base ai principi della sua fede, non ha più bisogno del Kippùr, così come un ebreo che ha il Kippùr non ha bisogno della salvezza dal peccato proposta dalla fede cristiana.

(Da “L’Osservatore Romano” dell’8 ottobre 2008).

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Kippùr: un approfondimento salutare per tutti!

Kippùr: un approfondimento salutare per tutti!



Yom Kippùr: giorno di purificazione dai peccati!

Nel Mishnè Torà (Hilkhòt Teshuvà, 2:7) il Maimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) scrive: “Il giorno di Kippur è il tempo della Teshuvà per tutti, sia per gli individui che per la collettività. Pertanto tutti sono obbligati a fare Teshuvà e a confessare [i propri peccati all’Eterno] nel giorno di Kippur. In cosa consiste la Teshuvà? “Il peccatore deve abbandonare il suo peccato e rimuoverlo dalla sua mente; deve ripromettersi di non commetterlo più […] e deve confessare ed esprimere con le sua labbra quello che si è ripromesso” (ibid., 2:2).
Rav Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) in Daròsh Daràsh Yosef (p. 258) afferma che le feste ebraiche non vengono definite dalle date nelle quali esse cadono ma dalle mitzvòt (precetti) specifiche che le caratterizzano. Di Kippur la mitzvà del giorno è la Teshuvà, che letteralmente significa “ritorno” sulla retta strada. Nella Torà il giorno di Kippur è espresso nella forma plurale: Yom Ha-Kippurìm, il giorno delle espiazioni, perché ci sono modi diversi nei quali possiamo fare Teshuvà. La Teshuvàpuò essere motivata sia dall’amore sia dal timore nei confronti dell’Eterno.
R.  Yehuda Moscato (Osimo, 1530?-1590, Mantova) nella sua opera omiletica Nefutzòt Yehudà (Derùsh38) cita il trattato talmudico Yomà (86b) dove è scritto: “R. Shim’òn figlio di Laqìsh disse: la Teshuvàè grande perché con essa i peccati volontari vengono trasformati in peccati involontari […]. Il Talmud obietta che lo stesso R. Shim’òn figlio di Laqìsh disse: “Grande è la Teshuvàperché con essa i peccati volontari vengono trasformati in meriti”. I Maestri spiegano che se la Teshuvàè motivata dal timore nei confronti dell’Eterno i peccati volontari vengono trasformati in peccati involontari; se invece la Teshuvà è motivata dall’amore nei confronti dell’Eterno i peccati volontari vengono trasformati addirittura in meriti.
R.  Moscato cita il trattato talmudico di Berakhòt(34b) dove viene posta la domanda se sia preferibile un Ba’al Teshuvà(penitente) oppure una persona che non ha mai peccato. R. Chiyà affermava: “Tutti i neviìm (profeti) hanno profetizzato riguardo ai Ba’alè Teshuvà (penitenti), ma riguardo ai giusti «nessun occhio ha visto al di fuori di Dio» (Yeshayà’- Isaia, 64:3). R. Abbahu dissentiva affermando che “nel luogo in cui stanno i Ba’alè Teshuvà (penitenti) perfino coloro che sono totalmente giusti non vi possono stare”. R. Moscato spiega che il dissenso tra i due Maestri riguarda solo i Ba’alè Teshuvà (penitenti) che tornano sulla retta strada per timore dell’Eterno. In questo caso colui che non mai commesso peccati è certamente superiore a chi ha peccato ed ha fatto Teshuvà. Tuttavia chi fa una Teshuvà motivata dall’amore nei confronti dell’Eterno è senza dubbio secondo tutte le opinioni a un livello superiore a quello del giusto che non ha peccato.
Rav Yosef Shalom Elyashiv (Lituania, 1910-2012, Gerusalemme) in Divrè Aggadà (p.446) afferma che gli israeliti dovevano andare tre volte all’anno a Gerusalemme, nel luogo più qadòsh(sacro) della nazione, per le feste di Pèsach, di Shavu’òt e di Sukkòt(delle capanne). Proprio nel giorno più qadòsh (sacro) dell’anno, il giorno di Kippur, potevano restare a pregare nelle proprie città. Rav Elyashiv spiega che vi sono ricorrenze nelle quali il luogo deve avere un effetto ed altre nel quale l’effetto, l’assorbimento della qedushà, viene generato dal tempo. I Maestri insegnarono nel trattato talmudico di Ta’anìt (30b) che “Non vi erano giorni festivi in Israele come Yom Ha-Kippurìm” perché in questo giorno vengono perdonati i peccati. Allora la felicità insita nel giorno di Kippur era palpabile. Ci si rendeva conto che il peccato separa l’uomo dal Creatore come un cortina di ferro. Se non fosse possibile purificarsi dal peccato, un peccato ne porterebbe un altro fino a quando gli uomini affonderebbero in un mare d’impurità. Quando l’ebreo usciva dal Bet Ha-Kenèsset (sinagoga) alla fine del giorno di Kippur si sentiva puro e pulito. La mitzvà di essere specialmente felici durante la festa successiva di Sukkòt ha le sue basi nel giorno di Kippur. Infatti i Maestri insegnano che di Sukkòt durante le celebrazioni festive nel Bet Ha-Miqdash (il Santuario di Gerusalemme) i chassidìm (le persone pie) e anshè ma’asè (gli uomini d’azione, le persone caritatevoli) ballavano dicendo: “Felice la nostra giovinezza che non ci ha imbarazzato nella nostra vecchiaia”. I Ba’alè Teshuvà (i penitenti che erano tornati sulla retta via) ballavano dicendo: “Felice la nostra vecchiaia che ha espiato la nostra giovinezza”. Entrambi i gruppi dicevano: “Felici coloro che non hanno peccato”.
Rav Beniamino Artom (Asti, 1835-1879, Londra) che fu rabbino della comunità sefardita di Londra concluse una sua derashà (sermone) di Kippur con queste parole (tradotte dall’inglese): “[…] Qui termina la nostra confessione. E quali sentimenti possiamo avere ora se non quelli di vergogna? Se nessuno di noi può essere cosi malvagio dall’aver commesso tutti questi peccati, pur tuttavia ognuno di noi ha fatto la sua parte […] Sopportare dure privazioni fisiche per venticinque ore, dedicare tutta la giornata in preghiera e meditazioni religiose […] è certamente obbedienza alla legge. Ma se tutte queste cerimonie e tutta questa religiosità non sono seguite da penitenza e riparazione, esse sono inutili, sono una beffa […] Solo quando abbiamo asciugato le lacrime che abbiamo causato, abbiamo restituito quello che abbiamo usurpato, ricostruito quello che abbiamo distrutto, consolato quelli che abbiamo addolorato e guarito coloro che abbiamo ferito e reso puro quello che avevamo reso impuro, solo allora […] “In quel giorno avrete espiazione dei vostri peccati per purificarvi così che sarete puri al cospetto dell’Eterno” (Vayqrà-Levitico, 16:30).

Donato Grosser
Fonte: www.romaebraica.it
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Israel, Yom Kippùr e…

Israel, Yom Kippùr e…

… l’anima incorruttibile.


Caro figlio,

voglio ringraziarti per essere arrivato. Per esserti ricordato anche quest’anno, da dove sei nato. Per avere rinunciato a colazione e pranzo, a quella telefonata importante, a quell’impegno che sembrava davvero urgente. Grazie per essere venuto di nuovo a cercarMi. Nonostante, forse, nemmeno tu capisca perché hai sentito proprio oggi questa necessità impellente. Per questo ti scrivo. Per spiegarti cosa sta dietro a questi tuoi passi. Dentro a ogni mio figlio, ho impiantato un microchip intangibile. Una parte di anima resistente agli urti, alle correnti avverse, agli slogan antisemiti. Alla razionalità e alle spiegazioni della mente. Questa è la parte più profonda del tuo essere. E’ una fiamma che non si potrebbe spegnere nemmeno sotto a un diluvio universale. Magari ci hai provato. A liberarti di queste origini, di questa identità storicamente pesante, di questo legame che crea inesplicabili sensazioni di vuoto, necessità improvvise di introspezione. Non è facile essere un Tuo figlio, D-o, avrai qualche volta pensato. Ma poi le tue gambe ti portano in sinagoga durante questo giorno santo perché dentro di te pulsa qualcosa che non sei mai riuscito a rendere silente. E’ la parte più profonda dell’anima che fa sentire forte la propria voce in questo giorno di kippur, in queste venticinque ore sacre. E’ così che ti ho creato. Ti ho concesso il libero arbitrio, il tuo comportamento, le tue azioni, stanno nelle tue mani. Ma la tua appartenenza al popolo di Israel, un insieme di genti che mai potrà staccarsi da Me, sono Io ad averla decisa. Nonostante un mio figlio abbia peccato, nonostante abbia tirato la corda che ci unisce sollecitandola più del dovuto, nonostante Mi abbia voltato la schiena, c’è un livello dell’anima che nulla al mondo potrà mai corrompere. Fai parte di un popolo legato a D-o da un nodo indissolubile. E anche quando ti sembra di stare lontano anni luce da Me, quando temi di esserti perso nella strada della vita e di non sapere più come tornare, voglio che tu sappia. Il tempo che ho stabilito per ogni mio figlio, affinché possa imboccare la via del ritorno al proprio Padre, ammonta a non più di un secondo.

 
Ti aspetto.


Fonte: blog Gheula Canarutto Nemni

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Yom Kippùr 5775

Yom Kippùr 5775

Yom Kippùr: rinascita spirituale 
di Antonio Tirri

Possano i nostri nomi essere iscritti nel Libro della Vita!

Un altro Kippùr sta per arrivare! E la domanda che dovremmo farci, prima di intraprendere il digiuno, è la seguente: la preghiera e il digiuno avranno la potenza di farci ottenere il perdono da D-o Benedetto?
Noi sappiamo che in questa giornata “terribile” viene emesso il giudizio divino sulla nostra condotta, su quello che abbiamo fatto, su quello che avremmo potuto fare e non abbiamo fatto, e sui nostri rapporti con il prossimo e con l’Eterno.

Noi sappiamo che Yom Kippùr espia soltanto i peccati commessi verso il Signore, com’è detto: “… di tutti i vostri peccati nei riguardi dell’Eterno sarete purificati” (Levitico 16, 30), mentre per quelli commessi verso il prossimo, Yom Kippùr non ha effetto fino a quando non si sia fatto pace con la parte offesa. E sappiamo anche che, per ricevere ascolto alle nostre preghiere, a Yom Kippùr dobbiamo allontanare da noi il rancore e l’astio, com’è detto: “Non vendicarti e non serbare rancore…” (Levitico 19, 18).
Yom Kippùr, inoltre, è una giornata in cui tutto Israele prega D-o Benedetto non solo per la sua salvezza e per il perdono delle sue colpe, ma invoca anche l’avvento del Regno di D-o nel mondo, e con questa invocazione chiede la salvezza dell’Umanità, ponendosi come Sacerdote del mondo. 


Nell’approssimarsi del giorno dell’espiazione auguriamoci che la scintilla divina che è in noi ci spinga a fare teshuvà, ben consapevoli però che a nulla servono il digiuno e la preghiera se non sono accompagnati da un profondo rinnovamento spirituale, da un sincero pentimento e dalla volontà di non ricadere negli stessi errori e di abbandonare quei deleteri e malefici comportamenti legati all’odio, al rancore, alla maldicenza, all’invidia, all’egoismo, all’arroganza, all’ingordigia, com’è detto: “Il malvagio abbandoni la sua via, l’uomo perverso i suoi pensieri e facciano ritorno al Signore che ne avrà pietà, al nostro D-o che è molto disposto a perdonare” (Isaia 55, 7).
 
Buon Kippùr. Hatimà tovà. Possa il Giudice Supremo darci la possibilità di beneficiare della misericordia divina e iscrivere noi e tutto il Popolo d’Israele nel libro della vita, della benedizione e della pace.

“Ascolta, Israele,
D-o è buono e giusto
e perdona i peccati
con la magnanimità
e l’amore di un padre.
D-o ascolta la voce
che esce dall’animo
e non le preghiere dalla bocca.
D-o legge
nei reconditi meandri
della mente
i pensieri di ognuno.
Ritorna, Israele,
al tuo D-o,
al D-o di bontà
e misericordia,
al D-o della pace
e della fratellanza
al D-o dell’amore
al D-o del perdono
e della giustizia.
E tu sai, Israele,
che potrai ricostruire
il Suo Tempio
solo dopo averlo costruito
nel tuo cuore.
Allora, Israele,
troverai la tua pace
e cesseranno le tue angosce
e il tuo pianto.
Quel giorno
D-o riempirà
della Sua misericordia
e della Sua benedizione

il Tempio
e la tua vita”.

 
(Antonio Tirri da Ascolta, Israele Giuntina, Firenze 1999)

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Yom Kippur

Yom Kippur

Il giorno dell’Espiazione
 

di Rav Riccardo Di Segni

Rabbino capo di Roma

Nel calendario liturgico ebraico il giorno dell’Espiazione – Kippùr o Yom Kippùr o Yom ha Kippurìm – è il più importante dell’anno; in aramaico è yomà, “il giorno” per eccellenza, che dà il titolo al trattato della Mishnà che ne espone le regole. “Il giorno” cade il 10 di Tishri, primo mese autunnale.

Di questo giorno parla in più occasioni la Bibbia e la fonte principale è il capitolo 16 del Levitico. Qui si descrive un complesso ordine cerimoniale affidato al Gran Sacerdote, che deve scegliere estraendo a sorte tra due capretti; uno, dedicato al Signore, viene offerto in sacrificio; l’altro riceve con un gesto simbolico il carico delle colpe di tutta la collettività e viene quindi inviato a morire nel deserto. Di qui l’espressione e il concetto di “capro espiatorio”. Lo stesso brano biblico si conclude spiegando che in quel giorno è d’obbligo affliggere la propria persona e non lavorare, perché “in questo giorno espierà per voi purificandovi da tutte le vostre colpe, vi purificherete davanti al Signore” (versetto 30).

Dai tempi della sua istituzione biblica Kippùr è il giorno dell’anno in cui le colpe vengono cancellate e il destino futuro di ogni uomo viene stabilito, dopo il giudizio cui è stato sottoposto nei giorni precedenti del Capodanno. La tradizione rabbinica si è dilungata a spiegare quali colpe possano essere cancellate del tutto o in parte, o sospese, in base alla loro gravità. La forza espiatrice del Kippùr si misura con l’obbligo principale dell’uomo nei giorni che lo precedono: la tesciuvà. Letteralmente è il “ritorno” ed è il termine con il quale si indica il pentimento, nel senso di ritorno alla retta via. Questo ritorno comporta la consapevolezza di avere sbagliato, l’intenzione di non commettere nuovamente l’errore, la confessione pubblica e collettiva. Tutto questo si basa necessariamente sulla fede in un Dio misericordioso e clemente che viene incontro a chi ha sbagliato. In ogni caso la cancellazione delle colpe si riferisce a quelle commesse nei rapporti dell’uomo con il Signore; le colpe tra uomini vengono cancellate solo dagli uomini. Per questi motivi la vigilia del Kippùr è dovere per ognuno andare a chiedere scusa alle persone che sono state da lui offese.

Per tutto il periodo di esistenza del Tempio di Gerusalemme le cerimonie del giorno di Kippùr rappresentavano il complesso liturgico più complesso e solenne. Solo in quel giorno era consentito al Gran Sacerdote accedere al Santo dei Santi. Il rispetto dei dettagli prescritti era essenziale, richiedeva una preparazione prolungata e minuziosa, e un’esecuzione attenta su cui vigilava con ansia l’intera collettività raccolta nel Tempio. Di tutto questo dopo la distruzione del Tempio è rimasto solo il ricordo nostalgico, che nella liturgia del Kippùr avviene con la lettura, al mattino, del brano del Levitico e nel primo pomeriggio con una lunga evocazione poetica del cerimoniale.

La liturgia sinagogale tocca in questo giorno il vertice dell’impegno; lunghe e solenni preghiere la sera d’inizio, e una seduta praticamente ininterrotta dal mattino successivo fino al comparire delle stelle. Sono momenti speciali quelli della lettura di brani di suppliche, la lettura al mattino di Isaia 57, che descrive come vero digiuno la pratica della giustizia, e al pomeriggio il libro di Giona, che è una grandiosa rappresentazione della misericordia divina. La presenza del pubblico nelle sinagoghe raggiunge il massimo annuale in questo giorno, specialmente nei momenti più solenni di apertura e chiusura.

Essenziale nel Kippùr è il coinvolgimento personale, soprattutto con un digiuno totale senza bere né mangiare per circa 25 ore – dal quale sono esenti i malati – insieme ad altre forme di astensione (lavarsi, usare creme profumate, indossare scarpe di cuoio, evitare i rapporti sessuali). Poi c’è la dimensione familiare e sociale, nei pasti che precedono e seguono il digiuno e nelle riunioni delle famiglie in Sinagoga per ricevere la benedizione sacerdotale, impartita dai Cohanim, i discendenti di Aharon.

Malgrado l’austerità, la solennità e le forme imposte di afflizione fisica il Kippùr è vissuto collettivamente con serenità e gioia nella consapevolezza che comunque non verrà meno la misericordia divina.

A conclusione di queste brevi note esplicative, considerando la sede autorevole e certamente non abituale dove vengono pubblicate [“L’Osservatore Romano”], può essere interessante proporre una riflessione sul senso che il Kippùr ha avuto, e può avere oggi, nel confronto ebraico-cristiano. Questo perché nella formazione del calendario liturgico cristiano le origini ebraiche hanno avuto un ruolo decisivo, come modello da riprendere e trasformare con nuovi significati: il giorno di riposo settimanale passato dal sabato alla domenica, la Pasqua e la Pentecoste. In alcuni casi la Chiesa ha persino festeggiato il ricordo dell’osservanza di precetti biblici tipicamente ebraici (la festa della Purificazione del 2 febbraio; un tempo il 1 gennaio quella della Circoncisione).

Ma l’intero ciclo autunnale, di cui Kippùr è il giorno più importante, è come se fosse stato cancellato. Probabilmente ciò è dovuto al fatto che i simboli del Kippùr riguardano alcune differenze inconciliabili tra i due mondi. I temi del gran sacerdozio, del Tempio, del sacrificio, del capro espiatorio, della cancellazione delle colpe che nella tradizione ebraica si unificano nel Kippùr sono stati rielaborati dalla Chiesa, ma fuori dall’unità originaria. Semplificando le posizioni contrapposte: un cristiano, in base ai principi della sua fede, non ha più bisogno del Kippùr, così come un ebreo che ha il Kippùr non ha bisogno della salvezza dal peccato proposta dalla fede cristiana.

(Da “L’Osservatore Romano” dell’8 ottobre 2008).

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