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Il muro dell’idiozia di Marcello Veneziani.

Il muro dell’idiozia di Marcello Veneziani.

La parola d’ordine del Cretino Planetario per farsi riconoscere e ammirare è: vogliamo ponti, non muri. Appena pronuncia la frase, il Cretino Planetario s’illumina d’incenso, crede di aver detto la Verità Suprema dell’Umanità, e un sorriso da ebete trionfale si affaccia sul suo volto. Non c’è predica, non c’è discorso istituzionale, non c’è articolo, pistolotto o messaggio pubblico, non c’è concerto musicale, film o spettacolo teatrale che non sia preceduto, seguito o farcito da questa frase obbligata. L’imbecille globale si sente con la coscienza a posto, e con un senso di superiorità morale solo pronunciando quella frase. Il cretino planetario diverge solo nella pronuncia, a seconda se è un fesso napoletano, un bobo sudamericano o un lumpa siculo. In Lombardia c’è un’espressione precisa per indicare chi si disponeva ai confini per mettersi al servizio dei nuovi arrivati, dietro ricompensa: bauscia.
Il cretino planetario ripete sempre la stessa frase, sia che parli di migranti che di ogni altra categoria protetta. Lui è accogliente, come gli prescrivono ogni giorno i testimonial del No-Muro, il Papa, Mattarella e Fico che ogni giorno guadagna posizioni nel Minchiometro nazionale, l’hit parete dedicata a chi sbatte la testa contro il muro.
Il pappagallo globale marcia contro i muri, più spesso ci marcia, ma la parola chiave serve per murare il Nemico, per separare dall’umanità evoluta ed accogliente i movimenti e le persone che s’ispirano all’amor patrio, alla sovranità nazionale, alla civiltà, alla tradizione. L’appello ad abbattere i muri e a stendere ponti è ormai ossessivo e riguarda non solo i popoli e i confini territoriali ma anche i sessi e i confini naturali, le culture e i comportamenti, le religioni e le appartenenze, e perfino il regno umano dal regno animale. Dall’Onu al golden globe, dalla predica al talk show e alla canzone, l’onda dell’idiozia abbatte il Muro del suono e del buon senso.
Ora, io vorrei prima di tutto osservare che i muri più infami che la storia dell’umanità conosca, non sono i muri che impediscono di entrare ma i muri che impediscono di uscire. Come sono, necessariamente, i muri delle carceri e come fu, l’ultimo grande, infame Muro che la storia conobbe, a Berlino. E che non edificò nessun regime nazionalista o sovranista, nessun dittatore e nessun Trump ma il comunismo. Chi tentava di superare quel muro e quel filo spinato per scappare dalla sua terra, era abbattuto dai vopos. Nessun regime autoritario o nazionalista ha mai avuto la necessità di innalzare un muro per impedire che la popolazione scappasse. Né si conoscono esodi di popolo paragonabili a quelli dove ha dominato il comunismo.
Se vogliamo restare in Italia, e a Roma in particolare, c’è solo un muro nel cuore della Capitale che non si può varcare, e sono proprio le Mura Vaticane dove il Regnante predica al mondo ma non a casa sua di abbattere i muri e accogliere tutti. E comunque i muri più famosi, i muri del pianto e della vergogna, non appartengono alla cristianità. Detto questo, a coloro che amano la civiltà e la tradizione, l’amor patrio e la sovranità nazionale, si addice piuttosto il senso del confine. Perché confine significa senso del limite, senso della misura, soglia necessaria per rispettare le differenze, i ruoli, le identità e le comunità. Tutti i confini sono soglie, sono porte, che si possono aprire e chiudere, che servono per confrontarsi sia nel colloquio che nel conflitto, comunque per delimitare o arginare quando è necessario. La società sradicata del nostro tempo ha perso il senso del confine, e infatti sconfinano i popoli, i sessi, le persone, si è perso il confine tra il lecito e l’illecito. Sconfinare è sinonimo di trasgredire, delirare, sfondare. La peggiore maledizione per i greci era l’hybris, lo sconfinamento, la smisuratezza, il perdersi nell’infinito. Il confine è protezione, sicurezza, è umiltà, è tutela dei più deboli, non è ostilità o razzismo. Vi consiglio di leggere L’elogio delle frontiere di Régis Debray. Ai più modesti, consiglio l’elogio dei muri di Alberto Angela che non mi risulta un ufficiale delle SS.
Senza muri non c’è casa, non c’è tempio, non c’è sicurezza. Senza muri non c’è pudore, intimità, protezione dal freddo, dal buio e dall’incognito. Senza muri non c’è senso della misura, riconoscimento del limite e dei propri limiti. Senza muri non c’è bellezza, non c’è fortezza, non c’è fondazione delle città, non c’è erezione di civiltà. Non a caso le città eterne nascono da Romolo che tracciò i confini, non da Remo che li violò. I muri sono i bastioni della civiltà, gli ospedali della carità, le biblioteche della cultura, le pareti dell’arte, il raccoglimento della preghiera.
Se il cretino planetario non lo capisce, in compenso lo capiscono bene gli anarchici di Tarnac che colsero nel muro abbattuto la vittoria del caos e dell’anarchia: “La distruzione delle capacità di autonomia dei dominati passa per l’abolizione delle frontiere del loro essere: individuale e collettivo. Finché esistono frontiere, è possibile opporre un sistema di valori a un altro, un tipo di diritto all’altro, distinguere uomo da donna, madre da padre, cittadino da straniero, insomma vero da falso, giusto dall’ingiusto, normale da anormale” (Gouverner par le Chaos – Ingénierie Sociale et Mondialisation, 2008).
Le città senza confini perdono la loro identità, come le persone che perdono i loro lineamenti. Non capovolgete l’amore per la famiglia in omofobia, l’amore per la propria patria in xenofobia, l’amore per la propria civiltà in razzismo, l’amore per la propria tradizione in islamofobia. E l’amore per i confini in muri dell’odio. Ma tutto questo il Cretino Planetario non lo sa.

MV, La Verità 9 gennaio 2019

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Chi falsifica la Sacra Famiglia?

Chi falsifica la Sacra Famiglia?

Cartolina di Natale 

di Ugo Volli 
 


Cari amici,
in questi giorni di festa circolano tante immagini auguranti, che non ci facciamo più veramente caso: alberi, stelle, bambinelli, grotte, presepi… Tutte hanno il significato, anche per chi come me appartiene a tutt’altra parrocchia, di augurare del bene, e come tali sono gradite. Ci sono però alcune eccezioni, alcune mandorle amare e frutta marcia in questi panettoni, che ne deformano il senso verso la propaganda politica, cercando di strumentalizzare e falsificare la religione. Sono immagini in cui si mostra la sacra famiglia nel ruolo di “palestinesi”, ingiustamente bloccati dal “Muro” o dai check point israeliani.

Sono immagini velenose e blasfeme, soprattutto dal punto di vista cristiano. Vediamo brevemente perché. In primo luogo, Giuseppe e Maria erano ebrei, non palestinesi, al di là di tutte le falsificazioni dei politici arabi che descrivono Gesù addirittura come uno ” shahid “, che nel linguaggio attuale del conflitto mediorientale significa attentatore suicida.
 
Lo dicono chiaramente i Vangeli.

Per esempio in Luca, cap.2,1- 6 si legge: ” In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazareth e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto.”

E Matteo, cap. 2,1-6: “Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: «Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo». All’udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s’informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: E tu, Betlemme, terra di Giudea, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele».

“Re dei Giudei”, “famiglia di Davide” “capo del mio popolo Israele”. Il testo non potrebbe essere più chiaro. La famiglia di Gesù era ebrea, Gesù rimase un ebreo rispettoso della Legge fino alla morte, Betlemme era Giudea. A quel tempo non esisteva il nome di Palestina (che fu imposto alla Giudea nel 135 d.C. per ordine di Adriano, dopo l’ennesima fortissima rivolta ebraica quando anche Gerusalemme fu rinominata Aelia Capitolina; i filistei, popolazione indoeuropea da cui il nome deriva, non erano più in circolazione da circa 800 anni e gli arabi erano ancora beduini sparsi e politeisti che vivevano nella parte centrale e soprattutto meridionale della penisola arabica, a 2000 chilometri di distanza.

Chi identifica dunque la famiglia di Giuseppe con i palestinesi, fa insulto insieme alla storia e ai Vangeli.

Già, potrebbe obiettare qualcuno, ma se vivessero oggi? Chi e che cosa sarebbero oggi? Coi se si può dire tutto quel che si vuole. Ma se si vuole minimamente rispettare la narrativa evangelica, bisogna ammettere che l’essere ebreo di Gesù non è un dato marginale, ma centrale: l’idea del Messia è un’idea ebraica, e legata alla casa di Davide; il discorso evangelico è pieno di riferimenti ai profeti ebraici, la predicazione di Gesù si rivolge esplicitamente agli ebrei e non ad altri (anche se dopo la sua morte le cose cambieranno), il suo atteggiamento nei confronti della legge è di “compimento, non di annullamento”, le sue ultime parole sono la citazione di un Salmo di Davide. Il cristianesimo nasce nei suoi contenuti fondamentali e nelle sue storie dal tronco dell’ebraismo, e lo riconosce sempre, anche nei momenti peggiori di “antigiudaismo” (per esempio in Agostino di Ippona o in Lutero).

E allora, che accadrebbe oggi di una coppia di ebrei che dovessero trasferirsi da Nazareth a Betlemme?

Attraverserebbero la valle di Jeezrael, cercherebbero di percorrere la strada delle colline, ma sarebbero respinti; poi magari farebbero il giro passando per l’autostrada costiera e poi su per Gerusalemme, ma sarebbero respinti di nuovo: quello è territorio dell’Anp (zona A) e gli ebrei non possono entrarci. Non possono per due ragioni: la prima è che l’Autorità Palestinese non vuole ebrei in Palestina né ora né mai: neanche un ebreo può abitare nelle zone “liberate”. La seconda ragione, più grave ancora è che ebrei soli e disarmati in territorio palestinese hanno la certezza di essere uccisi appena possibile, come accadde ai due che entrarono qualche tempo fa a Ramallah e furono barbaramente. I cittadini israeliani hanno perciò la proibizione di entrare nelle città palestinesi e i posti di blocco servono anche a questo.

Insomma, Giuseppe e Maria non potrebbero arrivare a Betlemme non perché impediti dal “Muro” israeliano, ma dagli ordini dell’Autorità Palestinese e dalle minacce di morte che vengono da tutte le fazioni arabe locali. Per questa ragione le immagini di cui sto parlando sono un brutale rovesciamento della verità. Che cose del genere vengano dette da alcune chiese cristiane (soprattutto anglicani e luterani, ma anche alcuni vescovi cattolici locali), testimonia di quanto la passione politica e – diciamolo – l’antisemitismo militante, l’odio per Israele e gli ebrei, ha ormai sovrastato in costoro la fede, anche se poi di fatto i cristiani sono perseguitati dai musulmani palestinesi maggioritari, come lo sono dappertutto nel mondo islamico. E’ un peccato, non solo sul piano politico, ma anche su quello propriamente religioso, perché quest’odio annulla il vero spirito di Natale e impedisce a chi ne è portatore di scorgere quella che è una delle radici profonde del Cristianesimo, cioè il legame con l’insegnamento dell’ebraismo.

A tutti i miei amici cristiani auguro sinceramente Buon Natale e Buon Anno.




 

Ugo Volli

 

Testata: Informazione Corretta -25.12.2012

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