Tag: Karol Wojtyla

Il Papa marxista che manda la Chiesa alla deriva.

Il Papa marxista che manda la Chiesa alla deriva.

Circola una battuta: i cinesi hanno qualche imbarazzo a farsi ricevere in Vaticano, perché Bergoglio è troppo comunista. Un cliché, d’accordo, ma ogni cliché nasconde un pizzico di verità e qui più che pizzichi sono manciate, sono palate: ci sarà una ragione se il papa argentino è stato adottato dalla sinistra come ultima spes del marxismo riverniciato. Se rifiuta di accogliere Mike Pompeo, segretario di stato Usa, se con Donald Trump fa la faccia schifata come con l’ex presidente del suo paese, Macrì, se il vescovo di Hong Kong lo tiene a cuccia, se Matteo Salvini non vuole vederlo neanche dipinto e lo umilia platealmente e invece non si fa problemi coi dittatori sudamericani che gli regalano allucinanti Crocifissi sulla falce e martello.

Fama da prete di sinistra

Bergoglio riposa in fama di prete di sinistra, affiliato alla teologia della Liberazione di Romero ma è un abbaglio, Bergoglio se mai è un pastore da  barricata, vicino a posizioni anarcoidi: il Messaggero scrisse tre anni fa, mai smentito, dei suoi appoggi, anche finanziari, alla galassia dei centri sociali; all’arruffapopoli Casarini dice “vai avanti fratello mio” e sulle Ong che trafficano clandestini non trova mai altro che elogi incondizionati e sconclusionati. Arrivò perfino a giustificare, se non scusare, gli stragisti islamisti di Charlie Hebdo con la delirante uscita aerea su quelli da prendere a pugni se ti toccano la mamma. Che poi il suo marxismo appartenga a Karl o piuttosto a Groucho, è questione più sfumata, forse insolubile.

Non un Papa sociale: un Papa militante. Fazioso come lo sono le milizie a senso unico. Ma può un Papa permettersi di essere spericolatamente fazioso? Sempre tardivo, sofferente quando si tratta di difendere le mattanze dei cristiani per il mondo, entusiasta e quasi minaccioso se c’è da schierarsi in favore di altre religioni, anche nei loro aspetti antitetici e devastanti per il cristianesimo. Bergoglio lascia correre e non condanna mai episodi di devastazioni di chiese, di statue, di simboli della santità cristiana ma si scatena appena sente eccepire sulla sacralità emblematica dell’Islam. C’è chi insinua: fatto fuori Ratzinger, dopo Ratisbona, a suon di attentati e roghi, sono stati gli imam ad imporre un capo cattolico di loro gradimento dietro il ricatto della strage diffusa, infinita. Anche questo, probabilmente, un cliché ma anche qui un pizzico di verità o almeno di plausibilità sembra affiorare.

Differenze con Wojtyla

La patente sgarberia alla massima diplomazia americana è resa ancora più bruciante dalla motivazione, offensivamente pretestuosa: il Vaticano non si presta a campagne elettorali. Qualcosa di puerile, che con Wojtyla non sarebbe mai potuto accadere se è vero che il Papa polacco anticomunista, antimodernista, a suo modo anticapitalista incontrava sì i dittatori da destra a sinistra, da Pinochet a Castro: ma poi, in privato, li strigliava, dettava le sue condizioni. Bergoglio non si preoccupa neppure di dissimulare, a seconda dell’identità ideologica, disprezzo o compiacenza.

Questo pontefice ringhioso ma debole, umorale, si disinteressa delle questioni finanziarie fino a che non esplodono in tutte le sue drammatiche contraddizioni ma contraddizioni che egli per primo ha alimentato; nomina e caccia, ma le nomine le decide lui o chi per lui e se si dimostrano perverse o disastrose la responsabilità è anzitutto sua. Lui invece si comporta sempre come il padrone che scarica tutto sui sottoposti. Teologicamente è difficile trovarci qualche sostanza, le sue encicliche viaggiano su un terzomondismo climatista che sfiora l’infantilismo di Greta o di Carola, le grandi riforme interne alla macchina vaticana sono rimaste pie intenzioni, la Chiesa come comunità dei fedeli implode in un messaggio solidaristico, sì, caritatevole, ma senza respiro, senza concretezza, senza grandezza. Senza autorevolezza.

Una riduzione ai minimi termini che i prelati conservatori non possono accettare, mentre i progressisti stanno alla finestra. Ma se i preti progressisti sono i don Biancalani o gli esagitati che su Twitter augurano morte violenta a Trump e Salvini, se hanno la faccia del cardinale elemosiniere che aiuta i parassiti del centro sociale a rubare la corrente elettrica alla comunità, allora non c’è da rallegrarsi. La Chiesa non è una Ong e non è un ente assistenziale e che il suo sommo pontefice sia finito sulla bandiera al posto di Guevara dovrebbe preoccupare anche i cattolici che se ne compiacciono.

Non è necessario essere cardinali duri, duramente conservatori come Robert Sarah per capire che la Chiesa è una nave mandata alla deriva da un nocchiero che non sembra preoccuparsene affatto.

Max Del Papa, 2 ottobre 2020

da Nicola Porro – Facebook

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La “sorpresa” del papa emerito e il passato che ritorna

La “sorpresa” del papa emerito e il passato che ritorna

«Solo a margine vorrei annotare la mia sorpresa per il fatto che tra gli autori figuri anche il professor Hünermann, che durante il mio pontificato si è messo in luce per aver capeggiato iniziative anti-papali».

Scrive così Benedetto XVI nell’ultima parte della lettera inviata al prefetto della Segreteria vaticana per la comunicazione, facendogli sapere che, per ovvie ragioni, non scriverà la «breve e densa pagina» che gli era stata chiesta sugli undici libretti dedicati dalla Libreria editrice vaticana alla teologia di Francesco, visto che tra gli autori c’è proprio Hünermann.

Questa parte della lettera del papa emerito, com’è ormai noto, è stata resa pubblica dalla sala stampa della Santa Sede in ritardo, su pressione dei giornalisti, dopo che in un primo tempo era stata tenuta nascosta. Ma qui non vorrei tornare su come la lettera è stata gestita. Desidero invece capire un po’ meglio perché, per Joseph Ratzinger, evocare il nome di Hünermann e, in parte, anche quello di Jürgen Werbick, un altro degli autori scelti dalla Lev, significa riaprire una ferita.

Torniamo dunque alle parole di Benedetto XVI, il quale, a proposito di Hünermann, spiega nella lettera: «Egli partecipò in misura rilevante al rilascio della Kölner Erklärung che, in relazione all’enciclica Veritats splendor, attaccò in modo virulento l’autorità magisteriale del Papa, specialmente su questioni di teologia morale. Anche la Europäische  Theologen Gesellschaft, che egli fondò, inizialmente da lui fu pensata come un’organizzazione in opposizione al magistero papale. In seguito, il sentire ecclesiale di molti teologi ha impedito quest’orientamento, rendendo quell’organizzazione un normale strumento di incontro fra teologi».

La Kölner Erklärung, ricordata da Benedetto XVI, è  la Dichiarazione di Colonia, documento del 1989 sottoscritto da numerosi prelati e teologi, tra i quali appunto Hünermann e Werbick (c’erano anche Küng, Metz, Mieth, Häring) e che rappresentò un attacco senza precedenti nei confronti dell’autorità papale.

Il papa era all’epoca Giovanni Paolo II e a capo della Congregazione per la dottrina della fede c’era, dal 1981, il cardinale Joseph Ratzinger. Nel testo, pubblicato dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung, i firmatari, dichiarandosi «per una cattolicità aperta, contro una cattolicità messa sotto tutela», contestavano quello che definivano il «nuovo centralismo romano», specie a proposito della nomina dei vescovi e dell’autorizzazione ecclesiastica all’insegnamento per i teologi. E arrivavano ad accusare Karol Wojtyła di «far valere in modo inammissibile, e al di là dei limiti dovuti, la competenza magisteriale, oltre che giurisdizionale, del papa».

Come si vede, un attacco frontale, portato non solo al papa polacco, ma anche al suo fido scudiero tedesco.

«Siamo convinti che non ci sia più consentito tacere», scrivevano i firmatari in preda all’indignazione. E denunciavano: «In questi ultimi tempi l’obbedienza al papa, dichiarata e richiesta da parte dei vescovi e dei cardinali, acquista sempre più sovente l’aspetto di un’obbedienza cieca». Di qui la richiesta di maggiore libertà in tutti i campi, compresa la ricerca teologica (attacco diretto ovviamente al prefetto Ratzinger), ma soprattutto una forte contestazione del primato del magistero papale in campo morale.

A questo proposito i firmatari della dichiarazione, accusando il papa di far valere «in modo indebito la competenza del magistero pontifico», attaccavano Wojtyła frontalmente sulla questione della regolazione delle nascite (nervo ancora oggi scoperto) affermando che Giovanni Paolo II sbagliava quando metteva il no alla contraccezione sullo stesso piano delle verità fondamentali e della rivelazione divina. Scrivevano infatti: «I concetti di verità fondamentale e di rivelazione divina vengono usati dal papa per sostenere una dottrina estremamente specifica che non può essere fondata né ricorrendo alla sacra Scrittura né rifacendosi alla tradizioni della chiesa».

Le verità, dicevano insomma i firmatari, non sono tutte uguali. Fra loro c’è una gerarchia. Ci sono «diversi gradi di certezza», e quanto più debole è il grado di certezza tanto più assume importanza la coscienza individuale, libera di compiere scelte rispetto alle quali il magistero pontificio non può pretendere di avere l’ultima parola. E alla fine il documento usciva allo scoperto quando, riferendosi apertamente all’Humanae vitae di Paolo VI, e difesa da Giovanni Paolo II, affermava: «A parere di molte persone appartenenti alla chiesa, la norma sancita dall’enciclica Humane vitae del 1968 in materia di regolazione delle nascite rappresenta semplicemente un orientamento che non sostituisce la responsabilità della coscienza dei fedeli».

Dalla Kölner Erklärung sono passati ormai quasi trent’anni, ma, come si vede, i problemi non sono affatto superati. Anzi, se pensiamo a recenti prese di posizione (mi riferisco in particolare alle tesi sostenute dal padre Maurizio Chiodi) tese di fatto a liquidare Humane vitae in nome di Amoris laetitia, si vede come le richieste della Dichiarazione di Colonia siano riapparse.

Se poi si considera che, successivamente, sia Hünermann sia Werbick hanno contestato apertamente Benedetto XVI chiedendo, insieme ad Hans Küng, l’ordinazione sacerdotale delle donne e di uomini sposati, la partecipazione di laici e parroci alla scelta dei vescovi, l’ammissione alla comunione per i divorziati risposati e il riconoscimento delle unioni fra persone dello stesso sesso, si può capire ancora meglio la reazione del papa emerito di fronte alla richiesta di scrivere qualcosa sull’omaggio di quei due teologi alla teologia di Francesco. E non si può non ammirare la sua signorilità. Perché, pur avendo tutto il diritto di manifestare un certo disappunto, con stile inconfondibile si limita a dire: «Solo a margine vorrei annotare la mia sorpresa…».

Aldo Maria Valli

20 MARZO 2018

 

TESTIMONIUM VERITATI

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Giovanni Paolo II e il dialogo interreligioso

Giovanni Paolo II e il dialogo interreligioso

Roma: Mostra Fotografica “Karol Wojtyla ed il dialogo interreligioso” 

L’ Opera Karol Wojtyla per il sollievo della sofferenza umana in collaborazione con l’Ufficio Rabbinico della Comunità Ebraica di Roma, il Vicariato di Roma ed il Centro Islamico Culturale d’Italia, con il patrocinio di Ministero della Salute, Regione Lazio, Roma Capitale, Sapienza Università di Roma, inaugura la mostra: 

  “Karol Wojtyla ed il dialogo interreligioso: incontri con le comunità ebraiche, cristiane e musulmane” 
  
Dal 25 marzo al 4 maggio 2014
 

tutti i giorni 10:00 – 19:00 / sabato 10:00 – 20
ingresso 5 euro

Area Archeologica dello Stadio di Domiziano (Piazza Navona)
Via di Tor Sanguigna, 3 – 06.45686100

Rav Elio Toaff accoglie Giovanni Paolo II sul piazzale della Sinagoga, oggi largo Stefano Gaj Tachè, e lo accompagna all’interno: è la prima visita di un papa alla Sinagoga di Roma (13/04/1986)
Fonte: Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma, Archivio fotografico, 50 anni di Rabbinato di Rav Rashì Prof. Elio Toaff al Tempio e mostra, foto n. 30

Ringraziamo vivamente la dott.ssa Silvia Haia Antonucci, Responsabile dell’Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma (ASCER), per la sua disponibilità e cortesia e per averci fornito alcune tra le più significative immagini di Giovanni Paolo II, presenti alla mostra: “Karol Wojtyla e il dialogo interreligioso”.

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