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Benedetto XVI: le promesse d’Israele, le speranze della Chiesa nel dialogo su Gesù

Benedetto XVI: le promesse d’Israele, le speranze della Chiesa nel dialogo su Gesù

di Angela Ambrogetti

Il testo che il Papa Emerito Benedetto XVI ha permesso che fosse pubblicato su Communio questa estate a proposito del De Judaeis come abbiamo visto ha suscitato un certo dibattito tra gli specialisti.

Ad alcuni Benedetto ha risposto personalmente come al Rabbino capo di Vienna. Ad altri ha risposto con un articolo sulla rivista Herder Korrespondenz del dicembre 2018.

La rivista ha pubblicato commenti di Thomas Söding (teologo cattolico, già membro della commissione teologica internazionale e ora del Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione) e di Michael Böhnke (uno dei firmatari del documento Chiesa 2011: una partenza necessaria), “il quale –scrive il Papa emerito– conferma nuovamente la stroncatura, che in Germania regna sovrana, del mio contributo. Di fronte a questa situazione che vuole, per così dire, imporre un’opinione sola rispetto alle mie riflessioni, e cioè una reazione completamente negativa, mi sembra legittimo e ragionevole che io stesso riprenda di nuovo la parola, indipendentemente dal dialogo molto più positivo che ho potuto condurre con Rabbi Arie Folger, il rabbino capo di Vienna, e che prossimamente apparirà su “Communio”.

Ecco allora i passaggi più significativi dell’articolo del Papa emerito sul numero di dicembre di Herder Korrespondenz e che fa parte di un dossier sull’argomento.

Il Papa spiega la genesi del testo e dice: “l’affermazione essenziale del testo di Böhnke è che avrei messo in discussione i pilastri del dialogo ebraico-cristiano. Questa affermazione è semplicemente sbagliata. Il mio articolo è invece scaturito dal fatto che padre Norbert Hofmann – responsabile per il dialogo ebraico-cristiano presso il Pontificio Consiglio per l’Unità dei cristiani – mi ha invitato a prendere posizione sul piccolo documento “Questioni teologiche attinenti alle relazioni cattolico­ ebraiche” (10 dicembre 2015).

Nel complesso, il documento mi è sembrato una sintesi riuscita di quel che la riflessione teologica aveva prodotto all’indomani del Concilio Vaticano II. Dando seguito al desiderio di padre Norbert Hofmann, in un primo momento ho annotato alcune osservazioni che intendevo trasmettergli. Ma nel corso del lavoro, poi, mi è sembrato più corretto collegare fra loro quelle mie osservazioni all’interno di un testo. Il contributo pubblicato da “Communio” è nato in questo modo. Conformemente alla sua genesi, esso non intende rappresentare una rottura con quanto sino a oggi elaborato, bensì portare avanti il dialogo in accordo con il magistero della Chiesa”.

Il primo chiarimento è quello sulla “teoria della sostituzione”.

Scrive Benedetto XVI: “Ero profondamente sorpreso dal non avere io stesso mai sentito parlare di tale teoria della sostituzione. Anche se non avevo mai trattato direttamente il tema cristianesimo-ebraismo, era sorprendente che non sapessi nulla della più importante teoria a riguardo. Per questo sono andato alla ricerca di essa e ho dovuto constatare che prima del Concilio una teoria del genere come tale esplicitamente non c’era.

Continuo a ritenere importante sapere come in seguito possa essere nata l’idea di una teoria della sostituzione che bisognava superare. In ogni caso, su questo punto essenziale, non ho rifiutato il mio accordo, ma ho soltanto constatato che una coerente “teoria della sostituzione” come tale non è mai esistita”.

Il Papa emerito passa poi a spiegare che “L’Antico Testamento è la Bibbia comune di ebrei e cristiani”.

La nuova interpretazione dell’Antico Testamento dopo la resurrezione di Gesù non è stata accettata da tutti e si sono aggiunti gli scritti del primo secolo divenuti Nuovo Testamento.

Spiega Benedetto XVI: “I cristiani ora erano convinti che il rapporto fra le due “Bibbie” fosse tale che il Nuovo Testamento stabiliva in modo vincolante la corretta interpretazione dell’Antico. In questo modo le due comunità, che si appoggiavano sulla Bibbia degli ebrei quale loro base, erano definitivamente separate in due comunità (due “religioni”: ebraismo e cristianesimo).

In forza della comune base nell’Antico Testamento, il dialogo tra di esse è restato naturalmente un’intima necessità. Non si è mai neppure completamente interrotto, e tuttavia fu oscurato sempre più dal potere politico della cristianità, fino alla tentata distruzione dell’ebraismo da parte del regime nazionalsocialista. Così la Chiesa cattolica, nel Concilio Vaticano II, a seguito di tutte le sofferenze del popolo ebraico, ha cercato una nuova base per il dialogo, a oggi formulata al meglio nel documento della Commissione biblica del 24 maggio 2001 “Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana”. 

Questo documento oggi dovrebbe indicare la strada per il dialogo ebraico-cattolico, sia dal punto del metodo che da quello del merito.

Il mio contributo pubblicato su “Communio” segue questo orientamento. Di conseguenza, ho cercato di interpretare le grandi promesse a Israele allo stesso tempo come speranza della Chiesa, cercando di esporre sia quel che divide, sia quel che unisce. Nel farlo, ho potuto constatare con grande gioia come il nuovo lavoro dell’esegesi consenta su entrambi i lati avvicinamenti che fino ad oggi non si potevano neppure immaginare; e questo anche proprio riguardo a classiche questioni dirimenti, quali la figura del Messia e il problema del rapporto tra legge e libertà. Alla mia età non posso sperare di poter continuare a lavorare su questo, e tuttavia è per me di grande incoraggiamento vedere aprirsi così tante nuove possibilità”.

Nonostante l’età però il Papa emerito indica un cammino in prospettiva: “Il Vangelo di san Matteo si conclude con la missione ai discepoli di andare in tutto il mondo e fare discepoli tutti i popoli (Mt 28,19). Missione in tutti i popoli e culture è dunque il mandato che Cristo ha affidato ai suoi. Si tratta, nel compierlo, di fare conoscere agli uomini il “dio ignoto” (At 17,23). L’uomo ha il diritto di conoscere Dio perché solo chi conosce Dio può vivere nel modo giusto la propria umanità.

Per questo il mandato missionario è universale – con un’eccezione: una missione agli ebrei non era prevista e non era necessaria, semplicemente perché essi soli tra tutti i popoli conoscevano il “dio ignoto”. Quindi, per quanto riguarda Israele, non valeva e non vale la missione, ma il dialogo se Gesù di Nazaret sia “il Figlio di Dio, il Logos”, atteso – secondo le promesse fatte al suo stesso popolo – da Israele e, inconsapevolmente, da tutta l’umanità. Riprendere questo dialogo è il compito che ci impone il momento presente”.

La conclusione di Benedetto XVI poi è semplice e chiara: “Quel che Michael Böhnke ha scritto su “Herder Korrespondenz” sono sciocchezze grottesche e non hanno nulla a che vedere con quanto ho detto in merito. Per questo respingo il suo articolo come un’accusa assolutamente falsa.  Benedetto XVI”.

 

CITTÀ DEL VATICANO , 31 dicembre, 2018 / 10:00 AM (ACI Stampa).

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Benedetto XVI al Rabbino, la conclusione del dialogo ebraico-cristiano è solo di Dio.

Benedetto XVI al Rabbino, la conclusione del dialogo ebraico-cristiano è solo di Dio.

di Angela Ambrogetti

CITTÀ DEL VATICANO , 28 dicembre, 2018 / 10:00 AM (ACI Stampa).-

Il Papa emerito Benedetto XVI ha scritto nel suo testo pubblicato da Communio in tedesco la scorsa estate che le due tesi proposte necessitavano di altro dibattito ed approfondimento. E’ così è stato. Soprattutto in Germania visto che il testo fino allo scorso ottobre era solo in tedesco e solo da poco è arrivata la provvidenziale traduzione francese, mentre l’italiano è ancora lontano.

Tra le risposte più interessanti e degne di nota quella del Gran Rabbino di Vienna Arie Folger che in un articolo su Jüdische Allgemeine lo scorso luglio si domanda se il dialogo sia in pericolo.

La sua è una prospettiva ovviamente diversa da quella di Benedetto XVI ed onestamente sottolinea che il testo è scritto “ad uso interno vaticano” ma aggiunge da “un eminente teologo conservatore”.

Benedetto però dimostra di essere tutt’altro che conservatore, proprio perché afferma che le tesi che affronta “ devono continuare ad essere elaborate in maniera critica”.

Il Rabbino riassume il testo del Papa emerito puntando solo a quello che non condivide. Ovviamente, proprio perché è un Rabbino.

Arie Folger scrive che la tesi di Benedetto che la teoria della sostituzione non ha mai fatto parte della dottrina della Chiesa è un “revisionismo antistorico”, a proposito del tema dell’Alleanza il Rabbino si chiede se gli ebrei debbano “subire delle missioni imposte” e sulla questione della Terra promessa e lo Stato di Israele si dice fortemente contrario alla “devalorizzazione teologica del sionismo”.

Il Papa risponde a questo articolo il 23 agosto del 2018 con una lettera personale al Rabbino. Un testo semplice che dimostra proprio la necessità di approfondimento delle tesi che Benedetto aveva anticipato.

Cristianesimo ed ebraismo si dividono nella accettazione di Gesù. Un dibattito che non è stato spesso o sempre condotto dai cristiani in modo rispettoso dell’altra parte.

Sul dibattito sulla interpretazione della Bibbia del Popolo ebreo Benedetto rimanda al testo del 2001 della Pontificia Commissione biblica “Il popolo ebreo e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana”, e poi chiarisce il suo pensiero senza chiudere al dibattito, ma aprendo a nuove riflessioni.

La promessa messianica è sempre un oggetto di controversia. Mosè parla faccia a faccia con Dio come un amico, Gesù è figura centrale perché da del “tu” a Dio.

Così il “tempo della Chiesa” è un po’ come i quaranta anni nel deserto per Israele. Un tempo per esercitare la libertà dei figli di Dio.

A proposito delle obiezioni sulla questione dello Stato di Israele Benedetto aggiunge: si tratta di uno stato laico che ha dei fondamenti religiosi. Ma per i padri da Ben Gurion a Golda Meier era evidente che lo stato fosse laico semplicemente perché era il solo modo nel quale potesse sopravvivere.

E conclude con un passaggio interessante in risposta alla difesa della Halaka del Rabbino di Vienna. In materia di morale e di culto c’è una unità che possiamo vedere oggi più di prima, molto grande tra Chiesa e Israele. Anche se oscurata nei secoli dal rifiuto di Lutero alla Legge combinato con un un marcionismo pseudo religioso e con il quale il dibattito non è ancora iniziato. E lì il Papa vede una opportunità nuova di dialogo ebraico cristiano.

Rav Folger risponde a sua volta a Benedetto XVI il 4 settembre e parte proprio da questo terzo punto: la morale e il culto. Unire le forze, dice, contro la secolarizzazione.

Anche sulla natura dello Stato di Israele riconosce la necessaria laicità per poter meglio gestire la politica, ma certo ha un significato religioso per molti ebrei nella diaspora.

Infine il tema dell’Alleanza. Benedetto dice che il dialogo tra ebrei e cristiani non si conclude nella storia, la conclusione appartiene a Dio alla fine della storia.

Il Rabbino risponde che il tema dell’Alleanza mai revocata è utile per combattere l’antisemitismo e lega tutte le forme di antisemitismo anche nella Chiesa all’idea di “sostituzione”.

Conclude con l’augurio che questa corrispondenza “contribuirà a rafforzare e approfondire il dialogo” e fare crescere le azioni per una società migliore.

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